Non c’è dubbio che il vino sia stato, nel corso della storia della musica, un frequente protagonista: a volte ispiratore, sovente consolatore, talora dissolutore di vite e di fatiche. Gli operisti l’hanno spesso inserito nelle loro trame: da Mozart a Verdi passando per Donizetti, l’antica bevanda infonde coraggio, cura, lenisce, festeggia, inebria.
Nella spensierata Vienna del 1869 un ormai celebre Strauss lo mette insieme alla compagnia femminile e al canto, in un trio di “piaceri della vita”: Vino, Donna e Canto! è uno dei suoi più riusciti valzer. Ma il vino e la donna possono andare di pari passo se andiamo verso la più difficile di tutte le virtù: la verità. “In vino veritas”, aforisma conosciuto da tutti gli scrittori latini, può allora essere interpretato come necessità del giusto e del vero, e non solo come banale eloquenza dell’alcol. Necessità che in alcuni casi è stata testimoniata da donne che non hanno esitato ad anteporre la verità alla loro stessa vita. Parliamo di Marianella García Villas (1948-1983), martire salvadoregna per i diritti civili e collaboratrice di monsignor Óscar Romero, torturata a morte da militari del suo Paese e celebrata in Oscar for Amnesty, e di Evita Perón (1919-1952), attrice, politica, sindacalista argentina, seconda moglie del presidente Juan Domingo Perón, che sempre sposò la causa dei diritti dei lavoratori e dei poveri, immortalata nel musical Evita.
E un vino che “dice la verità” ci racconta, in Valtellina, di sovrumane fatiche per coltivare aspri speroni rocciosi dove la terra va portata a spalla, e poi vivificata dalla vite la cui delicata cura è essa stessa una fede atavica e un’arte che s da la modernità. Ecco quindi La puerta del vino, nella realtà l’edificio più antico della città spagnola di Granada (dove pare che i contadini lasciassero il vino per il loro stesso consumo, quindi non soggetto a tasse), ma nell’immagine un ideale ingresso per le distese di lari che vanno da Maroggia alla Valgella passando per la Sassella, il Grumello, l’Inferno. Ed ecco il mitologico dio del vino, Bacco, che lascia il monte Olimpo per un weekend sulle “Blue Ridge Mountains” americane, cime degli Appalachi che hanno ispirato anche Copland e Delius. Nel primo movimento di Bacchus on Blue Ridge il dio si trova in uno stato di depressione e decide di partire. Il secondo movimento, con i suoi espressivi assoli in stile “blues”, presenta la pace del soggiorno di Bacco sui monti. Il terzo è una danza in stile hoe-down, pervasa da elementi jazz.
Vino e montagna, vino e verità: i clerici vagantes medioevali, studiosi che viaggiavano da un’università all’altra, ben conoscevano gli effetti del vino, più volte allegramente declamati nei celebri Carmina Burana dell’XI e XII secolo, ma contemporaneamente cantavano un’altra verità, ben più seria e preoccupante: la condanna della mondanizzazione di certi uomini di chiesa, più attaccati al potere e al denaro che al dettato del Vangelo. E si torna a Marianella.
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Es besteht kein Zweifel, dass der Wein in der Musik- und Kunstgeschichte ein bedeutende Rolle spielt. Er wirkt inspirierend und tröstend, oftmals führt er auch unmittelbar in die Katastrophe. Die großen Opern- Komponisten haben ihn immer wieder in ihre Stücke eingebaut: Man denke nur an Mozarts Don Giovanni, an La Traviata und Falstaff von Verdi oder an Donizettis L’elisir d’amore. Der Wein gibt Mut, beruhigt, hilft beim Feiern und Flirten. Im Wien des Jahres 1889 bringt es Johann Strauss auf den Punkt: Wein, Weib und Gesang ist einer seiner erfolgreichsten Walzer.
Es heißt aber auch In vino veritas – ein bekannter Aphorismus, der auch den meisten Nicht-Lateinern bekannt ist. Dabei geht es um die banale Erkenntnis, dass Alkohol nicht nur die Eloquenz fördert, sondern auch die Wahrheit ans Tageslicht bringt, womit wir den Wein beiseitelassen können und zu starken Frauen kommen. Sprechen wir über Marianella García Villas, eine Märtyrerin aus El Salvador und Kämpferin für die Bürgerrechte: Sie wurde vom Militär zu Tode gefoltert und wird in Oscar for Amnesty von Dirk Brossé als Heldin gefeiert. Oder denken wir an Evita Perón, die sich für die Rechte der Arbeiter einsetzte und der Andrew Lloyd Webber in Evita ein Denkmal setzte.
Denken wir aber auch an den mythologischen Gott des Weines, Bacchus. Dieser verlässt den Olymp für ein Wochenende an den Blue Ridge Mountains. Appalachische Bergspitzen haben schon Komponisten wie Copland und Delius inspiriert – im vorliegenden Fall auch den wienerisch-britischen Komponisten Joseph Horovitz. Im ersten Satz von Bacchus on Blue Ridge ergeht sich der Gott in depressiver Stimmung und entscheidet sich endlich dazu, aufzubrechen. Im zweiten Satz wird das Leben des Gottes in den Bergen beschrieben, unter- brochen von einem Traum von einem Besuch in Paris. Der dritte Satz ist ein Tanz mit Jazzelementen, der das Willkommens-Fest der Einheimischen thematisiert. Wein, Weib und Gesang ist noch einmal von Bedeutung, wenn es um die mittelalterlichen „Clerici Vagantes“ geht. Diese Gelehrten reisten von einer Universität zur nächsten. Sie kannten die Wirkung von Wein nur allzu gut; Carl Orff thematisierte dies geschickt in seinen Carmina Burana, in denen ausgiebig von der Liebe ebenso die Rede ist wie von Festen, der Natur und der Sündhaftigkeit des Menschen.